Chiesa dei Girolamini

Napoli, Chiesa dei Girolamini, navata centrale 2La costruzione della chiesa dei Girolamini è legata all’arrivo a Napoli dei padri oratoriani. Già nel 1583 Filippo Neri e Cesare Baronio entrano in contatto con i Teatini napoletani, ma soltanto nel 1586, su invito dell’arcivescovo di Napoli, Annibale di Capua, giungono a Napoli i più stretti collaboratori di San Filippo, i padri oratoriani Antonio Talpa, Francesco Maria Tarugi e Giovenale Ancina.
Grazie ad una donazione di 5.800 ducati, ad opera dei nobili napoletani, acquistano il palazzo Seripando e Filomarino, creando i presupposti per l’insediamento in città della comunità. Dopo un breve periodo in cui sono ospitati nel complesso degli Incurabili, fondano la comunità, dedicata, come quella di Roma, alla pratica dei sacramenti e all’assistenza morale e materiale dei fedeli più poveri e ammalati.

Entro l’edificio di Carlo Seripando (corrispondente al corpo di fabbrica compreso tra i civici 142 e 144 di via Duomo) i padri, su probabile direzione del fiorentino Dionisio di Bartolomeo Nencioni, vi costituiscono dal 1587 una primitiva chiesa e l’oratorio.

A partire dal 1590 e fino al 1659, gli Oratoriani ricevono numerose donazioni in loro favore, fino a possedere un insula costituita da 37 proprietà, grande 180 x 68 metri.

Intorno al 1590 comincia la costruzione dell’attuale chiesa, da un progetto dell’architetto fiorentino Giovan Antonio Dosio (presente a Napoli dal 1590), in collaborazione con padre Antonio Talpa, mentre il modello ligneo è realizzato da Nencioni, su disegno dello stesso Dosio, entro il luglio 1591.
La chiesa, dedicata alla Natività di Maria e tutti i Santi, presenta una pianta basilicale, a croce latina, con tre navate divise da 12 colonne di granito bigio per lato, provenienti dall’isola del Giglio.

La posa della prima pietra è celebrata, simbolicamente, il giorno dell’Assunzione della Vergine del 1592, in ossequio alla intitolazione alla natività di Maria e a tutti i Santi. Il cassettonato ligneo, eseguito tra il 1624 e il 1626, è opera di Marco Antonio Ferrara , Nicola Montella e Giacomo de Simone.
Per la consacrazione dell’edificio bisogna però aspettare il 1658 con il completamento delle cappelle delle navate minori, ma soltanto nel 1780, con le modifiche della facciata ad opera dell’architetto Ferdinado Fuga, si può dire concluso il progetto dei padri.

L’abside presenta un dipinto dedicato alla Madonna della Vallicella e Santi, opera del siciliano Luigi Rodriguez. Due maestosi Angeli Reggifiaccola, di Giuseppe Sanmartino, coronano la balaustra marmorea. Ai lati dell’abside rettangolare sono presenti due cappelle intitolate a San Filippo Neri (a sinistra) e all’Immacolata (a destra). Due cappelloni, dedicati alla Natività e ai Santi Martiri, concludono i due bracci laterali del transetto.

La navata maggiore presenta, nei pennacchi, una lunga teoria di santi e martiri, affreschi realizzati dal piemontese Giovan Battista Beinaschi. Le navate minori presentano volte a cupolino su peducci nelle singole campate e le volte a botte, che definiscono le cappelle laterali, il transetto e l’abside, sono realizzate con motivo a lacunari. La ricca decorazione a oro e la profusione di stucchi e marmi fecero guadagnare alla chiesa la definizione di Domus Aurea.

La controfacciata è affrescata da Luca Giordano nel 1684, con la Cacciata dei Mercanti dal tempio; ai due lati dell’ingresso, due affreschi di Ludovico Mazzanti, realizzati nel 1735 e che rappresentano La Morte di Ozia e la Cacciata di Eliodoro dal tempio, decorano l’accesso ai campanili.

Le cappelle laterali, sei per lato, presentano tutte lo stesso schema: un altare centrale, con una grande tela dedicata al santo che dà il nome alla cappella, e due tele laterali, di dimensioni minori.

Luca Giordano, Guido Reni, Pietro da Cortona sono solo alcuni dei grandi nomi degli artisti che parteciparono all’impresa decorativa del tempio, facendone un unicum di armonia e ricchezza, e rendendo il monumento tappa fondamentale negli itinerari barocchi della città.